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#FALLIMENTARE #DEBITORE: In merito ai ricavi lordi la Cassazione definisce nel dettaglio i criteri per individuarli ai fini della dichiarazione di fallimento

La recentissima crisi sanitaria e le misure varate dall'esecutivo al fine di contenerne la diffusione hanno inibito la produttività di moltissime imprese. Ragion per cui, in alcuni casi, è sorta la necessità per il debitore principale e/o per i suoi creditori di depositare un'istanza fallimentare allo scopo di ottenere presso l'agognata sentenza dichiarativa del fallimento. A tal proposito occorre che il creditore disponga dei requisiti oggettivi e soggettivi. Dettagliatamente quelli oggettivi si traducono nella sussistenza del cosiddetto stato d'insolvenza, in pendenza del quale l'imprenditore non sarà in grado di soddisfare economicamente le obbligazioni assunte mentre quelli soggettivi sono sanciti dall'art. 1 , della legge Fallimentare n. 267/1942, nei termini che seguono: a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila; b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila; c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila. Ebbene è proprio in merito al concetto afferente i "ricavi lordi" che la Suprema Corte attraverso la recentissima Sentenza del 24 settembre 25932 ha enunciato succintamente i criteri utili per individuarli ai fini di una dichiarazione fallimentare. Clara verbis è stato precisato che per l'individuazione dei ricavi lordi occorre fare riferimento alle voci n. 1 (rubricate come "ricavi delle vendite e delle prestazioni") e n. 5 (rubricate come "altri ricavi e provenenti"), risultanti dallo schema obbligatorio di conto economico previsto dall'art. 2425 c.c., lett. A" La valutazione dell'ammontare dei ricavi, in quanto mirante a far emergere la realtà economica dell'impresa, deve prescindere dalla pedissequa applicazione dei principi contabili e della normativa in tema di redazione dei bilanci ogni qualvolta il loro rigoroso rispetto venga a determinare una divergenza tra il dato formale e la reale dimensione dell'impresa. Viceversa non possono, invece, sommarsi le voci sub n. 2, ( rubricate come "variazioni delle rimanenze di prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti") unitamente a quelle sub n. 3 (rubricate come "variazioni dei lavori in corso su ordinazione") in quanto quest'ultime <non possono essere considerate ricavi, nemmeno concettualmente assimilabili alla più ampia nozione di proventi>. Inoltre, per completezza, i Giudici di piazza Cavour hanno ulteriormente precisato che restano fuori, dalla somma dei ricavi lordi ex. art. 1, lett b), L. 267/1942 i proventi finanziari, le rivalutazioni e i proventi straordinari rispettivamente indicati dall'art. 2425 c.c., lett. C, D ed E. (ovvero quei proventi che non contribuiscono a definire la dimensione economica corrente dell'impresa, in funzione dell'allarme sociale che la sua crisi può generare). In ultimo, considerato quanto sopra, va da se precisare che la materia fallimentare richiede la presenza di professionisti del settore. Molte volte è giusto scongiurare un fallimento ma, in altre circostanze, è necessario che questo intervenga a sanamento della posizione del debitore esecutato. L'importante è che in ogni fase e per ogni scelta l'imprenditore sia affiancato dalla competenza di un esperto del settore il quale, a seconda dei bilanci e della documentazione presente, sappia intraprendere un percorso virtuoso per l'impresa.