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#FISCO: E' ONERE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE PROVARE CHE LE FATTURE DEI CLIENTI SIANO STATE REGOLARMENTE EMESSE DAL FORNITORE.

Oggetto di attenta disamina è la materia dell'accertamento, ove sembra molto difficile per il cittadino affermare le proprie ragioni; è proprio per tale motivo che la Cassazione interviene con carattere di continuità al fine di fornire delle dichiarazioni da cui non si può prescindere. Ebbene, è il caso delle fatture utilizzate da un soggetto/cliente come fonti deducibili: l'intervento della Suprema Corte, con ordinanza n. 17727 del 22 giugno risulta esser stato inevitabile. La questione nasce da una verifica fiscale eseguita nei confronti di una società, in corrispondenza di una fattura (presuntamente) emessa nei confronti di questa da parte di una ditta individuale, la quale, appunto, non aveva versato l'IVA, mentre la società ricevente l'aveva portata in detrazione, motivo per cui il fisco si è posto delle domande. Da tale verifica risultava inoltre che tali fatture fossero fittizie in quanto le prestazioni contenute non erano mai state eseguite, così l'imprenditore impugnava l'accertamento, adducendo che le fatture erano state falsamente predisposte dai terzi (nel caso di specie, la società). Tuttavia il ricorso veniva in prima battuta rigettato, a causa, secondo il Tribunale adito, del mancato assolvimento da parte del ricorrente dell'onere di provare la falsità delle fatture detratte dalla società; l'imprenditore così portava avanti la sua pretesa in appello, ribadendo che la prova non poteva essere data in quanto trattasi di una probatio diabolica e che, dal canto suo, poteva solo continuare a sottolineare che l'emissione delle fatture non erano annotate nei registri obbligatori; dopo un altro rigetto, la Cassazione veniva chiamata ad esporsi, la quale ha dichiarato e confermato un principio cardine: "Qualora l'Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l'indebita detrazione di fatture ai fini Iva e di imposte dirette, in quanto relative ad operazioni inesistenti, spetta all'Ufficio fornire la prova che l'operazione commerciale, oggetto della fattura, non è mai stata posta in essere, ovvero non è stata posta in essere tra i soggetti indicati nella fattura". Ne deriva, dunque, che la Commissione Tributaria Regionale non si è fatta carico di un vaglio critico dei motivi addotti dall'imprenditore contribuente, violando l'art. 111 della Costituzione. Difatti, i Giudici di legittimità hanno affermato che "Le fatture, apparentemente attribuibili al soggetto dell'accertamento, erano state reperite nella documentazione contabile del diverso soggetto che le aveva utilizzate come fonti di costi deducibili; sicché la circostanza della loro autenticità avrebbe dovuto essere oggetto di verifica e di prova da parte dell'Agenzia delle Entrate, che ne avesse voluto trarre fonte di prova contro l'apparente emittente, nel senso di accertarne l'effettiva provenienza da parte di quest'ultimo, che la contestava anche in appello". Ciò conferma, ancora una volta, che è opportuno affidarsi ad esperti del settore, al fine di portare avanti le proprie pretese e trovare la giusta strada per il loro accogliemento.