La controversia sorge dalla pretesa di pagamento della Banca, a saldo del debito, di una determinata somma; di contro correntista e i garanti hanno reclamato un maggior credito in ragione dell'assunta applicazione di interessi connessi a clausole nulle per indeterminatezza dell'oggetto, anatocismo e applicazione delle commissioni di massimo scoperto. Accolta già nei primi due gradi di giudizio, la pretesa del correntista è da considerarsi fondata anche secondo la Cassazione, che con la sentenza n. 11876 del 18 giugno 2020 rende nulla la clausola che rimette, pur entro determinati limiti minimi e massimi, la determinazione degli interessi alla discrezionalità della Banca. In particolare, la clausola del contratto fissava il tasso d'interesse variabile, senza indicare peraltro la maggiorazione nel caso di superamento del fido, «sulla previsione di un tasso minimo del 24% fino al 21.10.1986 e un tasso minimo del 18.5% per il periodo successivo». Così conformata, la pattuizione non rispetta i requisiti di determinatezza o determinabilità dell'oggetto ex art. 1346 c.c. ed è quindi nulla.